Saint Seiya è una storia che, tra le altre cose, trabocca di legami. Alcuni molto espliciti, altri appena accennati. Gettati lì un po’ a caso per poi essere dimenticati dal manga, vengono spesso presi ed amplificati dall’anime. Quelli dei personaggi “secondari”, poi, arrivano sempre con grazia, sempre con discrezione. Non ti vengono vomitati addosso e forniscono lo stretto indispensabile per accendere una piccola scintilla che, nel migliore dei casi, ti porterai dietro con sofferenza ed insoddisfazione fino alla morte. Il sentimento predominante è quello dell’amicizia, quella disinteressata, pura ed autentica. Non c’è spazio per il romanticismo o la passione in Saint Seiya e, le rare volte che arriva, si trasforma in una devozione tale che risulta impossibile tracciarne i confini con l’amore. E’ il caso di Seiya e Saori, ma anche di Hilda e Siegfried, ad esempio. Ma la verità è che l’amore, quello romantico, spesso ci viene negato e soffocato. Tra le tantissime dichiarazioni di Kurumada senza senso solamente una mi è sempre sembrata splendida: “un Cavaliere non potrebbe mai legarsi in senso romantico a qualcuno. Se succedesse, la vita di quella persona diventerebbe più importante di quella della Dea Athena”. Ed è il motivo per cui Shiryu non fa altro che mettere da parte i propri sentimenti per Shunrei. Ma è anche la ragione che spinge Aiolos ad abbandonare Aiolia, in fondo. Ancora meglio: è il motivo per cui ogni Saint sarebbe disposto a dare la vita per i propri compagni, ma è anche la ragione primaria per cui scelgono di andare avanti sempre, anche a costo di sacrificare i propri affetti: perché Shun, per Athena, è disposto a perdere Ikki. L’intero Chapter Sanctuary di Hades ruota attorno a questo concetto. In tutta la Serie Classica c’è solamente un Cavaliere che rinuncia al suo ruolo di Saint per stare accanto a qualcuno ormai più importante di chiunque altro, ed è Orfeo. Ed è lampante. E’ lampante perché è diverso da chiunque altro.
LA GENESI: quella di Dohko e Sion si può certamente definire come una delle accoppiate più tardive della serie, non solo per l’età dei due ultrabicentenari, ma anche per il fatto che compare molto, molto avanti nella storia: infatti, nonostante i personaggi coinvolti ci vengano in un modo o nell’altro presentati quasi immediatamente, fino all’Hades Sanctuary non se ne ha praticamente traccia nella trama.
Il motivo? Beh, a differenza di quanto successo per altre situazioni, per i quali abbiamo un riscontro concreto derivante dai capitoli su rivista o dalle puntate della serie, qui non abbiamo delle vere e proprie prove; si tratta più che altro di (mie) supposizioni, maturate guardando l’anime, leggendo il manga e le interviste a Kurumada, in cui più di una volta l’autore si è trovato a parlare dei duri ritmi di lavoro di un mangaka per una rivista settimanale.
E ritengo che le cause siano molto semplici, quasi banali: probabilmente Kurumada all’inizio non aveva ancora pensato a un certo tipo di evoluzione per il personaggio del Sacerdote, tanto che durante la parte pre Dodici Case, la figura del vicario di Athena in terra sembra avere una sfumatura differente rispetto a quella assunta dopo.
Ho infatti sempre avuto l’impressione che nel primissimo arco il Sacerdote, più che un ex appartenente all’élite dei Saint, paresse “solamente” una figura ammantata di santità e priva di particolari abilità belliche, un celebrante o capo morale insomma, come ad esempio Hilda e Pandora, solo successivamente integrato anche nel tessuto marziale del Santuario, tanto che Aiolia, quando va a chiedergli spiegazioni al ritorno dalla missione in Giappone, si stupisce di veder provenire da quello che per lui altri non è che il Sacerdote un colpo alla velocità della luce.
In seguito poi, soprattutto con lo svelarsi della storia di Saga e Aiolos, la figura del Sacerdote ha cominciato a prendere la piega che tutti conosciamo, senza però ancora nessun accenno a un possibile legame con Dohko; si può ipotizzare che sia perché in quel momento, nell’economia di una serializzazione settimanale serratissima, in cui ogni singolo evento o legame messo in campo doveva concorrere alla trama, mancasse ancora l’occasione narrativa di pensare e mostrare un collegamento con il Vecchio Maestro, occasione che invece si sarebbe poi presentata con gli eventi dell’Hades Chapter Sanctuary.
IL SACERDOTE NELL’ANIME, OVVERO COSE CHE VOI UMANI… Prima di passare al cuore dell’articolo, non posso esimermi dal fare una breve digressione sulla figura del Sacerdote nella serie animata: è noto che l’anime di Saint Seiya, in particolare nella sua parte iniziale, si discosti in più punti – e a volte in maniera discutibile – dal manga, cosa soprattutto dovuta alla produzione all’epoca quasi contemporanea di puntate e capitoli.
Uno di questi suddetti punti è quello riguardante la figura del Sacerdote e le vicende a lui relative: infatti, mentre nel manga la situazione è piuttosto lineare, con Saga che tredici anni prima prende il posto di Sion dopo averlo assassinato, nell’anime le cose sono LEGGERMENTE più complicate… dove “leggermente” sta per enorme, abissale, fossadellemariannico casino!
Non mi addentrerò nei particolari della faccenda, che merita un’analisi a sé stante più approfondita, di quelle che sa fare la boss Aeris, sappiate solo che l’anime dà diverse, fumose e tra loro contraddittorie versioni riguardo al momento dell’ascesa al potere di Saga/Arles (perché ricordiamolo, qui Saga IN TEORIA non prende subito il posto del Sacerdote, ma fa un giro molto più lungo, uccidendo Arles, fratello del Sacerdote in carica e sostituendosi a lui); TOEI o chi per lei ha tentato di, come si suol dire, metterci una pezza, prima con la celebre side story del Golden Jump Selection n° 2 incentrata su Shura (e illustrata dal dinamico duo Araki/Himeno, per la gioia dei nostri occhi), poi con il famigerato famoso filmatone-riassunto dei 114 prodotto in occasione dell’uscita degli OAV dell’Hades Chapter, ben consci che la presenza di Sion avrebbe potuto dare ulteriori scossoni alla già precaria logica interna della faccenda. Il risultato? Sono riusciti a ingarbugliare ulteriormente le cose, ovvio…
GALAXIAN WARS – LE DODICI CASE – (ASGARD&)POSEIDON: come detto nell’introduzione, durante questi archi narrativi non v’è traccia di un legame tra Dohko e il Sacerdote, del quale tra l’altro per tutta la durata della cosiddetta serie classica non si conosce né il volto (nel manga lo vediamo coperto dal solito elmo sacerdotale durante il flashback del suo assassinio, nell’anime… beh, l’anime come detto prima è un discorso un po’ complicato) e nemmeno il nome; il Vecchio Maestro non fa alcun accenno diretto a Sion, né durante lo svelamento dell’inganno di Saga alle 12 Case, né durante la precedente incursione di Death Mask a Goro Ho, quando si ritrova davanti Mu, che nell’Hades si scoprirà essere allievo proprio di Sion.
Certo, Mu e Dohko dimostrano di conoscersi, il vecchio Libra in precedenza è stato persino in grado di consigliare piuttosto dettagliatamente Shiryu su come raggiungere la dimora del giovane Ariete per la riparazione delle Cloth e anzi, a questo punto della storia si può dire che Mu sia il legame più stretto che Dohko ha con un suo parigrado, quindi un eventuale accenno al passato in questo frangente non avrebbe nemmeno stonato; qui però, torniamo al discorso del paragrafo d’apertura: è plausibile che Kurumada a questo punto non avesse ancora immaginato la figura di Sion come la conosciamo (e non è improbabile che sia stata pensata direttamente per l’Hades Chapter, dato che il sensei, che come sappiamo non è nuovo a idee dell’ultimo minuto, dichiarò “[…]Il Sacerdote era un compagno di Doko, sopravvissuto anch’egli all’ultima guerra sacra e, visto che non avevamo avuto l’occasione di vederlo prima, ho voluto includerlo tra i Saint resuscitati. Per quanto riguarda l’idea di renderlo maestro di Mu, mi è venuta dal fatto che il tempio dell’Ariete è il primo che è necessario attraversare. Se l’avessi fatto maestro di qualcun altro, si sarebbe fatto buttar fuori dal tempio dell’Ariete.[…]” Masami Kurumada – Saint Seiya Chronicle – tratto dagli archivi de icavalieridellozodiaco.net di Shiryu) e neanche ne aveva particolare necessità, dato che la dinamica tra Dohko e Mu funziona bene anche così: i due sono Gold Saint in carica e per di più sono entrambi considerati quasi ribelli dal Santuario per il loro atteggiamento di rifiuto verso l’operato dello stesso; Mu sembra portare a Dohko il rispetto dovuto a un maestro o a un compagno d’armi più anziano e Dohko a sua volta dimostra di riconoscere il valore marziale e morale del giovane collega; quanto necessario per un collegamento ben delineato era già presente e non c’era bisogno d’altro, almeno in quel momento.
CHAPTER SANCTUARY: premessa; l’Hades Sanctuary è in assoluto la mia parte preferita della serie classica, con quella sua particolare atmosfera, i Gold a farla da padrone e i Bronze fuori dai piedi per la maggior parte del tempo (yeah!); inoltre, è una parte a cui ripenso sempre con emozione dato che, avendola letta ormai già bella grandicella con l’edizione Star (sì, incredibile ma vero, saltai l’edizione Granata ai tempi), ha tirato fuori Saint Seiya dal ruolo di “ricordo d’infanzia”, facendomi scoprire che la serie, tra personaggi vecchi e nuovi, aveva ancora molto da raccontarmi.
Particolarmente significativa in questo senso per me è proprio la discesa in campo di Dohko e Sion (e Mu), due (anzi, tre) personaggi ben noti – Sion certamente in maniera meno diretta degli altri – degli archi precedenti, che il Sanctuary si diverte a mettere in campo in ruoli un po’ diversi dal solito, mettendo al centro della scena chi stava sullo sfondo, dando via alla magia che permea quei 13 OAV e ovviamente, ai FEELS.
Ma partiamo dall’inizio.
Sion è il primo dei “rinnegati” d’alto rango a fare la sua comparsa e apparentemente la sua entrata in scena non è molto eclatante: è ammantato di nero, incappucciato e non rivela il suo nome, si limita a presentarsi di fronte alla prima Casa proferendo poche parole; tuttavia, è sufficiente l’espressione assolutamente pietrificata di Mu nell’intravederne il volto sotto il manto scuro a far subito capire al lettore/spettatore che quella per il Saint non è una persona qualsiasi, al punto che, durante il successivo scontro con Aphrodite e Death Mask, basta una sua sola frase a far esitare il solitamente calmo e composto Ariete. Come se non bastasse, poco dopo Sion, per far proseguire gli altri tre al suo seguito, blocca Mu con la telecinesi. In pochi secondi il Saint della Prima Casa, che da solo aveva contrastato ben cinque Gold Specter, è ridotto all’impotenza.
A toglierlo dall’impaccio è Dohko e la situazione che si viene a creare mi è sempre sembrata in qualche modo l’immagine speculare di quanto avviene durante l’attacco di Death Mask a Goro Ho: in quel frangente infatti, si rivelano le identità di Dohko e Mu come Gold Saint, con l’Ariete che giunge a fermare l’attacco nemico; allo stesso modo qui l’arrivo del Vecchio Maestro ferma l’attacco contro Mu e il Saint di Libra rivela l’identità di precedente Sacerdote di Sion nonché il proprio segreto legato alla Misopethamenos.
Si potrebbe quindi dire che la scena che ha legato Mu a Dohko si ripeta, legando Sion a Mu prima e a Dohko poi, completando in qualche modo il cerchio; è, volendo, un legame simile a quello già analizzato tra Camus, Milo e Hyoga: due maestri e un allievo.
C’è però un’indubbia differenza nella gestione degli accadimenti dato che, come abbiamo visto grazie alla sapiente analisi di Aeris, tra Camus e Milo il rapporto si esplica soprattutto in relazione a Hyoga e bisogna aspettare l’anime dell’Hades Sanctuary (e il Pachinko…) per avere un’aggiunta indipendente dalle vicende del Cigno; invece qui Kurumada riesce ad andare oltre e facendo combaciare piuttosto bene i pezzi, ha buon gioco nell’utilizzare efficacemente quanto precedentemente mostrato tra Dohko e Mu, rafforzandolo tramite la figura di Sion; il costrutto della trama stavolta fa in modo che le tre relazioni (Dohko-Mu, Sion-Mu e Dohko-Sion) non solo riescano ad avere perfettamente senso anche da sole, ma anche che si arricchiscano a vicenda quando si intrecciano le une con le altre.
La cosa risulta abbastanza evidente anche quando ci si trova ad analizzare il flusso dei FEELS che tutta la vicenda porta con sé: i primi sentimenti a emergere sono infatti quelli di Mu, la sua sorpresa e il suo timore reverenziale nell’incontrare di nuovo colui che gli fece da maestro; stupore che con l’entrata in scena di Dohko prosegue, mescolandosi a quello di Sion e dello stesso Saint di Libra per poi infine lasciare unicamente la scena ai due antichi guerrieri.
Ed è da questo punto in poi che finalmente il rapporto tra Dohko e Sion si mostra davvero, senza più intermediari: Sion, elegante e ieratico come Mu, ma con una punta di insolenza tipicamente kurumadiana, e Dohko, l’incarnazione della parte più cazzeggiona del Burning Blood, si affrontano a viso aperto sia verbalmente che fisicamente, dando vita una battaglia che nonostante la situazione è priva di qualsiasi livore… e venata di una sconfinata malinconia.
Devo dirlo, mi è sempre sembrato che in fondo, più che uno scontro vero e proprio, quello fosse in realtà un saluto, un bentornato seguito da una pacca sulla spalla e un bicchiere bevuto assieme, un modo per dirsi dopo tanto “Ehi, vecchio mio, quanto tempo!”, un interludio prima dell’addio finale, che entrambi sono ben consapevoli arriverà.
Di nuovo.
E poi succede, l’evento che rimette in moto le lancette del fato che quel breve intermezzo sembrava aver compassionevolmente fermato: la morte della dea, che in qualche modo fa sì che i veri sentimenti che ognuno dei Saint porta nel cuore vengano finalmente a galla; e se tra Milo e Camus si consumano rabbia e tristezza, se Ikki nel momento più tragico si sofferma a rendere onore a Shaka, uno dei pochi che la Fenice abbia mai davvero rispettato, Dohko e Sion mettono immediatamente da parte tutto il resto e si ricompattano, tornando a correre fianco a fianco verso il loro dovere; c’è tutto in quella loro corsa stagliati contro una luna rossa come il sangue, la loro amicizia, le battaglie passate e presenti, la fedeltà alla dea e ai suoi ideali, una comunione d’intenti mai davvero venuta meno nonostante l’apparenza di quel momenti… in poche parole, la loro intera storia.
Poteva finire così? No, non poteva.
Siccome il Sanctuary mi vuole bene, mi regala un altro momento tra i due, terribile e al contempo meraviglioso: il loro (nuovo) commiato.
E se già il manga colpisce duro, con Sion che si dissolve di fronte alla statua di Athena e Dohko che in (virili) lacrime lo saluta silenziosamente, l’anime dà proprio il colpo di grazia, concedendo uno dei momenti (per me) più belli e strazianti dell’intero brand, mostrando un ultimo discorso tra i due sulle note di Under The Wood Of The World Tree, con Sion in piedi, perso a osservare il Santuario e Dohko, che nonostante la guerra in atto si prende un minuto per sedersi a parlare ancora col suo amico, una scena che nella sua semplicità ancora oggi mi toglie il fiato e mi fa salire un magone che non vi dico. E’ un congedo che narra del rimpianto per la conclusione di quel reincontro fin troppo breve, ma anche della certezza che alla fine di quel conflitto si vedranno di nuovo (e questa frase, allo stesso modo di quella simile pronunciata da Milo mentre discende dalle stanze di Athena, è un’ulteriore stilettata al cuore, perché rivelatrice del fatto che Dohko, così come tutti gli altri Gold rinnegati e non, è ben consapevole del destino che li attende alla fine di quella battaglia), che risuonano nella dolcezza e nella commozione nelle voci dei due e mi fanno tremare il cuore fino a spezzarlo ogni santa volta che rivedo quella parte dell’episodio, sia in originale che in italiano (davvero bravissimi i doppiatori in questo frangente, in entrambe le versioni).
Il racconto della serie classica su Dohko e Sion finisce dunque qui, col Vecchio Maestro e Kanon, rimasto in educata attesa che i due finissero di parlare, che si dirigono insieme verso il castello di Hades; è una cronaca in effetti breve in sé, ma la trovo quanto mai efficace, poiché nel limitato tempo a disposizione è stata secondo me capace di dare completezza a tutta la vicenda, che nei fatti avrebbe bisogno di poco altro.
LE OPERE COLLATERALI: LC, ND, EPISODE G E SOG: ed è in questo “poco altro” che entrano in gioco le opere collaterali, che negli anni si sono divertite a raccontare vari aspetti di Dohko e Sion, con mia somma delizia.
Sì, perché le opere collaterali c’è chi le ama e chi le odia e io personalmente le adoro, amo avere uno sguardo diverso da quello originario su un’opera, in particolare su personaggi già noti e con Dohko e Sion posso dire di essere stata abbondantemente accontentata!
Apriamo questo breve (brevissimo, giusto un accenno, dato che l’analisi si concentra soprattutto sulla serie classica) excursus con il Lost Canvas di Shiori Teshirogi e il Next Dimension di Masami Kurumada, ovviamente: entrambe le opere narrano della precedente guerra sacra contro Hades e Dohko e Sion, in quanto unici sopravvissuti della suddetta, sono naturalmente presenti.
Il Canvas ci mostra i fatti in fieri: Dohko e Sion sono già Gold Saint e amici e tra serie regolare e Gaiden, ci vengono narrate soprattutto le loro gesta durante e post guerra sacra (ci sono dei flashback o degli episodi dedicati al passato sia per l’uno che per l’altro, ma sono avventure individuali nelle quali non viene fatto cenno al loro legame).
Il Next Dimension, ancora in corso, si è invece sinora concentrato sul pre e durante guerra sacra, dato che oltre a narrare le loro azioni “presenti”, ha mostrato un breve flashback che racconta di quando loro due e Suikyou, futuro Silver Saint della Coppa, erano compagni d’addestramento.
Proseguiamo poi con Episode G, dato che anche Megumu Okada si è brevemente occupato di Dohko e Sion: infatti nel mini gaiden contenuto nel tomo 2 (volumetto 3 della versione italiana di Planet Manga), viene messo in scena l’esatto momento della fine della guerra contro Hades, con Sion e Dohko che si ritrovano ancora vivi sul campo di battaglia.
Infine, persino Soul Of Gold, l’Original Net Anime di Toei dedicato ai Gold Saint, di cui abbiamo abbondantemente parlato su questi lidi, nonostante la sua QUALITY fa un omaggio ai due vegliardi: infatti, nel decimo episodio, mentre Dohko e Mu combattono contro Andreas, il Vecchio Maestro vedendo il giovane Ariete lottare al suo fianco, ricorda nostalgicamente le passate battaglie e per un attimo al volto di Mu si sovrappone l’immagine di quello Sion.
Tutto qui? Finora sì e direi che rispetto ad altre situazioni (chi ha detto Milo e Camus?!) non è affatto poco, anche se io, da brava background-addicted spero sempre in ulteriori chicche narrative… beh, che dire, in Pachinko I trust!